vintage piano

L’uomo in giacca grigia viene anticipato da una voce femminile fuori campo, che avverte gli spettatori del cambio d’ordine d’esecuzione dei brani.

Poi, timidamente, dalla porticina bianca esce dinoccolato, accenna uno sguardo da fanciullo, timido e sfuggente. Si siede curvo ed esita per un istante, prima di accarezzare il pianoforte, con quel tocco così particolare e delicato. Silenzio: “Suite francese n°5 in sol maggiore” di Bach. Piotr Anderszewski sente Bach intimamente e ne offre una versione, sin dalle prime note dell’Allemande, come un dipinto ad acquerello che si anima sopra lo Steinway mezza coda. Più che una danza, la “Suite”, diventa una successione di sentimento che si fa nota, che viaggia su altre dimensioni cosmiche, decisamente differenti da quanto ci si potrebbe aspettare dal barocco classico. Ma questo ad Anderszewski non importa, è un rischio che vuole correre.

Un applauso sentito e poi qualche detrattore inizia ad alzarsi: “Bach? Questo è un brodino!”.
Ma con Schumann, il “puer aeternus”, avviene quasi un piccolo miracolo: un punto di contatto si accende, perché quasi tutti sono d’accordo di quanto la personale interpretazione di Piotr ben si sposi con l’artista romantico. Nella “Fantasia in do maggiore”, Piotr si crogiola in tutta la gamma di timbri offerti dal pianoforte moderno e spesso usa il pedale di risonanza per dipingere nuove immagini. Un grande applauso riempie la sala e gli occhi del polacco si illuminano. Con Janacek, il Piotr viaggiatore inquieto (come lo descrive Monsaingeon), ci prende gusto e iniziamo a deragliare “Sul Sentiero erboso” fino all’estremo dépaysement, dove irreale e reale si mescolano, alternando momenti riflessivi a momenti tempestosi. La “Suite Inglese n°3 in sol minore” di Bach chiude il cerchio, e lo fa con toni chiaroscurali e drammatici. Le Gavotte di questa Suite sono solitamente interpretate in modo scherzoso e irridente, ma Anderszewski le trasforma in melanconiche ballate e spiazza, reinventa un “nuovo” modo di percepire Bach, creando prospettive e orizzonti là dove sembrava ormai difficile ricercare l’originalità.

Ognuna di queste danze, dalla Courante delicata, fino alla Sarabande che evoca chitarre di gusto spagnoleggiante, terminano con una nota di intima riflessione. Piotr agita i folti capelli scuri sfumati d’argento e canta. Canta in alcuni momenti perché lo slancio è talmente profondo da riuscire a staccarlo completamente dalla realtà e il pianoforte stesso non sembra bastargli per dare voce al sentimento. Ricorda l’esegeta di Bach, Glenn Gould, che dal vivo e nelle registrazioni canticchiava e spesso i fonici non riuscivano a separare l’audio della sua voce.

Anderszewski, se pur in modo diverso da Gould, riporta Bach alla sua stessa emotività e questo fa si che l’esecuzione porti un tratto distintivo, la firma introspettiva e umana, l’impronta digitale dell’anima dell’artista – cosa non da poco in un panorama dove il sentimento sembra essere diventato un suppellettile. L’uomo con la giacca grigia alza le mani dal pianoforte e sorride irriverente e astuto: sa che una volta usciti avremo ancora voglia di sentire quel piano che parla con la voce del cuore.

Programma:

J. S. Bach
Suite inglese n. 3 in sol minore
Suite francese n. 5 in sol maggiore

L. Janacek
Sul sentiero erboso

R. Schumann
Fantasia in do maggiore