Foto di Marco Brescia & Rudy Amisano

Prendete quello che state per leggere con estrema cautela.

Le “Nozze di Figaro” di Strehler è lo spettacolo che ha segnato la mia vita come un’interpunzione: 1987, 1997, 2002 e infine 1° luglio 2021. Non posso essere obiettivo. Se ci fosse una lista UNESCO delle regie d’opera Patrimonio dell’Umanità, questa lettura ci entrerebbe a pieno titolo. Non riesco e non voglio operare distinzione tra regie che leggono dentro il testo, che illustrano il testo o che scrivono sopra il testo. Ci sono regie di grande bellezza e/o profondità e altre che invece rimangono buone intenzioni (talvolta neanche quelle). Claus Guth per me è il più grande regista d’opera degli ultimi decenni, non temo quindi di essere ascritto tra i passatisti. Ebbene, ritengo che la regia di Strehler per “Nozze di Figaro” sia un assoluto del teatro. La lettura sociale, i movimenti scenici, la bellezza estetica dell’impianto complessivo, la scatola scenografica che man mano si apre e si sfonda fino al momento finale in cui scendono i lampadari nel giardino e si accendono le luci in sala: un meccanismo perfetto eppur terribilmente umano.

La ripresa di Marina Bianchi è parecchio fedele all’originale ma manca un pochino dell’elemento meccanico e stilizzato delle versioni precedenti, prediligendo, invece, una lettura più calda e vibrante. Un po’ meno nobiltà ascetica e un po’ più commedia dell’arte. Luci strepitose a cura di Marco Filibeck. La magia si è ripetuta, ancora una volta. Si potrà non essere d’accordo con me, ma questo spettacolo reggerebbe il palcoscenico per altri 50 anni.

Passiamo alla musica. Innanzitutto, il piacere di un’opera cantata bene in ogni sua parte, con una particolare menzione per i comprimari davvero eccellenti, Anna-Doris Capitelli e Andrea Concetti in testa. E quando si era mai sentito un Don Bartolo che fraseggia così? Molto brava Svetlina Stoyanova nei panni di Cherubino. Bella voce e interpretazione interessante, forse da raffinare ancora ma decisamente notevole. La famiglia d’Almaviva è famiglia anche nella realtà. Simon Keenlyside e Julia Kleiter sono marito e moglie e mostrano un approccio alla musica molto simile: austero ma non algido, comme il faut. Un briciolo di umanità in più non avrebbe guastato ma la loro prova è di tutto riguardo e forse sono quelli più vicini alla visione di Harding. Il Conte ha uno smalto meno lucente rispetto a precedenti esperienze e la Contessa ci regala un “Dove sono i bei momenti” davvero intenso e ben cantato.

Infine, i due campioni della serata, una coppia Susanna – Figaro tra le migliori viste sul palcoscenico. Luca Micheletti ha una sontuosità vocale davvero impressionante: mamma che voce, piena, perfetta in tutti i registri, un’emissione da manuale. La parola è rotonda e scandita. Un controllo maggiore dell’esuberanza nel canto e nell’azione scenica (Strehler molte sottolineature non gliele avrebbe permesse) lo renderebbero il Figaro perfetto oltre misura. Era possibile prevedere che l’”Aprite un po’ quegli occhi” sarebbe stato trionfale. Così è stato. Alla fine, un trionfo. La Scala ha un nuovo beniamino.

Considerazione a latere: la scuola di canto italiana sta tirando fuori una serie di cantanti davvero maiuscoli (Buratto, Chiuri, Olivieri, Micheletti appunto e ne sto scordando molti altri), ci stiamo assicurando i prossimi venti anni di spettacoli incredibili. Finisco con Rosa Feola. Si tratta, ormai, di cantante arcinota, le cui prove non dovrebbero sorprenderci, eppure qui ci riesce. Caspita se ci riesce. Finalmente una Susanna solare, brillante, autentica. Una donna scaltra che tutto dirige e che tira i fili della “folle journée” da vera regista. Il canto è ineccepibile, il fraseggio inebriante. Il “Deh vieni, non tardar” è un vero capolavoro. Tutto una sfumatura, da brividi. Il momento più alto di tutta la serata.

Daniel Harding sviluppa una lettura di Nozze molto complessa e non immediatamente palatabile. Sicuramente non consueta. Dopo un’ouverture generica e un primo atto di difficile comprensione, un secondo interessante ma da mettere a fuoco in certi passaggi, un terzo decisamente buono, un quarto meraviglioso. Scordatevi le versioni brillanti, quelle vaporose, quelle svenevoli o quelle tutta tecnica e velocità. Qui siamo in un mondo di rigore, di architetture teutoniche più che di atmosfere mediterranee. I tempi tendono a essere larghi ma non è questo il dato significativo. Sono Nozze che tendono alle sonorità drammatiche di Mozart (più Idomeneo e Clemenza di Tito che Da Ponte), al suono sodo, anche duro. Un po’ Klemperer e un po’ Harnoncourt per la cura della prassi esecutiva. Meravigliosa la cura dei recitativi.

Un Figaro non seducente ma definitivamente interessante. Commosso applauso alla fine del Terzo Atto a Bruno Casoni, Direttore uscente del Coro. Ci mancherà davvero tanto.