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La 23esima edizione del Festival di Milano Musica (“in scena” fino al 15 novembre) non è solo un’occasione per ricordare, o magari scoprire, un compositore contemporaneo extra-ordinario e visionario come Fausto Romitelli, a cui questa edizione è dedicata e la cui personale ricerca è andata ben oltre l’avanguardia colta.

La 23esima edizione del Festival di Milano Musica, proprio perché strutturata sul percorso atipico e profondamente rivoluzionario di un compositore come Fausto Romitelli, è un’occasione per addentrarci nella storia e nelle opere di un altro compositore che rientra fra i Grandi della musica colta del XX secolo, quintessenza della contemporaneità – tanto da avere legami con la cultura “popular” attraverso i film di Stanley Kubrick – e, non in ultimo, faro per la ricerca dello stesso Romitelli.

“Lux Aeterna” (1966) – inclusa in “2001: Odissea nello spazio”

György Ligeti è stato uno dei massimi compositori del ’900. Sarà protagonista, insieme con Romitelli e Debussy, del concerto del 26 ottobre al Teatro alla Scala, dove la Filarmonica eseguirà un brano per orchestra di ciascuno dei tre autori appena citati (qui il programma completo).

Dopo avevervi dato qui uno squarcio complessivo sul festival – attraverso le parole di qualcuno a cui Romitelli ha cambiato la vita, la musicista e sperimentatrice sonica Alessandra Novaga – e avervi raccontato qui qualcosa di più su Fausto Romitelli e sul suo essere compositore estremamente vicino alla contemporaneità, Zero vi conduce verso la terza tappa di questo “percorso introduttivo” alla musica classica.

Una sorta di manuale, di Wikipedia alla Zero, per saperne di più su György Ligeti: chi è stato, quando ha vissuto, quali sono stati i luoghi chiave della sua vita, cosa ci ha lasciato e perché è così importante per noi. E per la contemporaneità.

Buona lettura. E ascolto.

GYÖRGY LIGETI

CHI: Capita che la vita di un uomo sia la rappresentazione stessa degli avvenimenti, delle sofferenze, delle inquietudini di un secolo. Accerchiato dal dogma e per questo antidogmatico per eccellenza, György Ligeti nasce da famiglia ebrea in Transilvania nel 1923 (e già da questi pochi indizi possiamo immaginarci il resto del racconto).

QUANDO: La storia di Ligeti è quella di un uomo che ha cantato sempre fuori dal coro. In fuga prima dal Nazismo e poi dal Comunismo, in giro per tutta Europa e a contatto con tutti i più importanti musicisti della seconda parte del XX secolo, è sempre stato musicalmente se stesso e ha creato un linguaggio nuovo e autentico, frutto della contaminazione fra le proprie radici culturali e gli stimoli via via raccolti.

“Concert Romanesc” (1951)

DOVE: Facciamo un passo indietro. Nasce nel 1923 in Transilvania, terra che nel 1920 passò dall’Impero Austro-Ungarico alla Romania. Béla Bartók e Zoltán Kodály sono il suo riferimento accademico e intellettuale, ma sono i canti della Romania a essere parte del suo sangue. A vent’anni la vita, anzi i Nazisti, lo allontanano dalla musica. Lui ai lavori forzati, unico della famiglia a non essere deportato nei campi di concentramento: tornerà solo la madre. Dopo la guerra, a Budapest completa gli studi (di ferrea disciplina contrappuntistica). Siamo nell’ottobre del 1956: i giorni della Rivoluzione Ungherese, con la sua musica debosciata che è già entrata nel mirino dei Sovietici. È notte, scappa in un treno con la moglie nascosto da sacchi postali (altri dicono da un saio), va a Vienna e diventa austriaco. E da Vienna poi Colonia e poi Darmstadt. È qui che viene culturalmente nutrito da Karlheinz Stockhausen, Gottfried Michael Koenig e Pierre Boulez, ma è da qui che, ancora una volta, scappa (non senza dopo un acceso confronto) indispettito e spaventato dalla loro dogmatica sicurezza.

COSA: Ligeti è a quel punto una figura affermata e può iniziare a sommare le proprie esperienze folckloriche, strutturali, contrappuntistiche e infine elettroniche per approdare a un linguaggio proprio e ai grandi lavori strumentali come “Apparitions” e “Atmosphères”. Definisce la propria struttura compositiva “micropolifonia”: un preciso disegno polifonico verticale, che procede per piccole mutazioni interne in una sorta di macromagma musicale che fluisce.

“Atmosphères” (1961)

È qui che arriva “Lontano” (presentata anche nel concerto del 26 ottobre da Milano Musica) e i poco antecedenti “Lux Aeterna” e “Requiem”. La musica di Ligeti diventa iconica anche grazie a Stanley Kubrick, grande appassionato ma anche grande traditore del musicista, che lo userà (adattandone le composizioni senza il suo permesso) in molti suoi film, a partire da “2001: odissea nello spazio”.

“Lontano” (1967)

Eppure Ligeti scappa ancora, evolve, cambia pelle: verso la metà degli anni 70 si dedica a una composizione fra lirica e teatro dell’assurdo, “Le Grand Macabre” – sorta di opera messianica che inizia con clacson di macchine e si chiude con una gigantesca passacaglia – e allo stesso tempo si interessa alla musica africana, in particolare ai suoi aspetti legati al ritmo.

“Le Grand Macabre”, opera in due atti. Libretto di Michael Meschke e György Ligeti da Michel de Ghelderode (1974-77/1996)

PERCHÉ: Quello di Ligeti è catalogo compositivo immenso, che attraversa il secolo alla sola insegna della propria individualità e libertà di uomo e di compositore. “Lontano” (di Ligeti) e “Dead City Radio. Audiodrome” (di Romitelli), presentate insieme da Milano Musica, sono due opere molto diverse eppur, in qualche modo, parallele, contrassegnate entrambe da un magma sonoro che ha una matrice anarchica e che vuole andare sempre e comunque controcorrente.

“Dead City Radio. Audiodrome” (2003)

Alberto Bottalico