Bernard-Haitink

Poche note possono raccontare una storia. Ce lo ha fatto comprendere Bernard Haitink con l’Ein Deutsches Requiem di Brahms eseguito con la Filarmonica della Scala.

Basterebbe prendere il secondo numero dell’opera per descrivere la grandezza di questa interpretazione. Il secondo tema del Den alles fleisch è uno dei più struggenti mai scritti – o meglio così pensavamo fino a oggi. L’indulgere sulla melodia, il trascinare all’infinito quelle quattro meravigliose note ci aveva fatto credere che si potessero leggere soltanto nella chiave della malinconia della dolcezza o persino del trasporto o del tormento. Non è così per il Maestro Olandese. Una grande lentezza pensosa e non ieratica. Le note sono pronunciate secche e staccate, come se rinunciassero a ricongiungersi in una melodia. È una chiacchierata che il compositore (e il direttore) fa tra sé e sé. Una camminata solitaria in campagna. Un bilancio interiore della propria vita dal risultato pacato, sereno. La morte è vicina, ma non c’è niente da temere. Non ci sono rimorsi, non ci sono rimpianti.

Siamo lontanissimi dalla concezione cattolica e persino da quella protestante della morte. Persino da quella romantica. È una lettura personale, intima, laica e quasi antiliturgica. Con quel testo bislacco, con quell’accrocchio di testi sacri e rime profane. Sembrano, piuttosto, gli appunti del diario di una persona che ripassa i passi fondamentali del proprio percorso terreno che culminerà nella gioia finale dell’ultimo tumultuoso movimento. L’uomo, più che ricongiungersi a Dio, arriva alla propria intima pacificazione.
Haitink canta il destino di quest’uomo come se fosse il proprio. Un uomo risolto e pacificato con il mondo. Il suono è al servizio di questo pensiero e il coro è al centro di questa riflessione. Le melodie in orchestra sono trattenute e quasi si spengono per non infastidire o bucare il canto del coro. Un monolite sonoro che preferisce l’omogeneità alla trasparenza. Un risultato mai gridato, mai sopra le righe. I tempi sono molto rallentati, le architetture nascoste. Anche nella poderosa fuga del sesto numero. dove il contrappunto rallenta fino a generare melodia.

Haitink ci regala una prova preziosa proprio perché così individuale e personale con il suo sorriso e la sua gentilezza d’animo. Grande prova dell’orchestra, più a proprio agio nel suono potente e turgido che nelle trasparenze e nei ricami. Bruno Casoni e il suo coro sono meravigliosi per duttilità e per grazia. I solisti compiono il proprio dovere assecondando il Direttore ma senza lasciare particolare traccia nelle nostra memoria.

Alla fine, ovazione trionfale da parte di un pubblico attento e commosso.