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Con questo Maestri Cantori di Norimberga (Die Meistersinger von Nürnberg), Daniele Gatti firma la prova più importante della sua carriera e lo spettacolo più convincente dell’intera stagione scaligera, a oggi.

Cinque ore e mezzo di pura gioia. Che meraviglia, che emozione! Ogni volta che ci si avvicina alle opere monstre di Wagner (Parsifal, Crepuscolo, Maestri) lo si fa con qualche apprensione, la stessa con cui ci si appropinqua alla linea di partenza di una 42 Km. Si rompe il fiato con l’ouverture e poi è un’unica grande discesa nel proprio io, cercando di non strafare nei momenti di entusiasmo più forte per arrivare poi all’ultima nota e sfogare con tutte le energie la tensione accumulata in un urlo liberatorio.

La visione di Gatti è organica e tutt’altro che monolitica, anzi c’è una versatilità e una libertà nella sua lettura che fa respirare l’intera opera. È una continua sorpresa e non solo nella scoperta di infiniti dettagli, ma proprio nel suo saper scorrere la partitura con affetto commovente e con un saper plasmare il suono momento per momento, mantenendo alta l’attenzione alla tensione narrativa e drammaturgica.

Se gli archi che scorrono su meravigliosi legati e la linea melodica sempre in evidenza potrebbero far pensare a un Wagner essenzialmente lirico, il Maestro ci contraddice subito offrendoci fanfare turgide di suono e climax sonori sorprendenti. La multiforme varietà di colori, il vigore e l’energia di momenti come il finale secondo che sfuma con dolcezza in serenità assoluta, le pause di silenzio in cui la platea sembra trattenere il fiato, gli attacchi vaporosi e quelli decisi e infallibili. L’attenzione alla parola e al canto, il suono trasparente che mai copre le voci neanche nei momenti di massimo clamore completano il quadro di un Meistersinger straordinario. Se dobbiamo aspettare altri 27 anni per avere una simile prova, possiamo tranquillamente aspettare.

La tenerezza con cui gli amanti sono abbracciati e accompagnati al felice esito, la pendanteria di Beckmesser, la saggezza di Hans Sachs, tutti sono disegnati con impeccabile maestria nella definizione psicologica del proprio personaggio. Il Sachs di Michael Volle è stupendo. La ricchezza di questo personaggio è resa con una proprietà stilistica e vocale proprie solo dei fuoriclasse. Quando è in scena non si hanno occhi e orecchie che per lui. L’aitante Beckmesser di Markus Werba gli fa da controcanto con perfetta vocalità e disegnando un personaggio stolido ma non macchiettistico o caricaturale. Alla stessa stregua tutti i comprimari (notevole il Pogner di Albert Dohmen) contribuiscono alla sontuosità della serata.

Un discorso a parte tocca fare per Eva e Walther. La Jacquelyn Wagner è corretta, precisa, un filo stiracchiata negli acuti ma ci presenta un personaggio che non riesce a brillare. Erin Cases è il punto debole della serata, spesso in difficoltà, non è in grado di definire compiutamente la figura di Walther, che è molto più di un ragazzotto semplice in cerca della sua bella amata.
Le bellissime scene di Hans Schavernoch, le luci perfette di Jurgen Hoffmann e la regia sostanzialmente aderente al libretto e alla tradizione, senza per questo essere trita o nostalgica, di Harry Kupfer contribuiscono a definire la magia di questo spettacolo. Una una serata da ricordare che ci dice ancora una volta quanto Wagner appartenga a questo teatro, alla sua orchestra e al suo meraviglioso coro.

La sala, non piena, sin dall’inizio ha subíto nel secondo intervallo una decimazione delle presenze. Il pubblico rimasto, attento durante tutta la maratona, ha tributato al Maestro Gatti un successo trionfale carico d’affetto, tanto da costringerlo, all’inizio del secondo atto, a far attaccare l’orchestra per far finire gli applausi e a dover prendere un secondo di concentrazione all’inizio del terzo.

Nonostante l’ora tarda, non è stato facile prendere sonno con tutta l’adrenalina in corpo che questi Maestri Cantori ci hanno regalato.