elektra

È nel silenzio che si apre questa Elektra. Nella penombra, le ancelle rassettano la corte. Una di esse con una scopa di saggina pulisce la scala. È il grattare ritmico di questa granata che graffia il silenzio denso di tensione che apre al terribile tema di Agamennone.

Ancora una volta è la regia di Patrice Chéreau, ripresa a due anni di distanza dalla sua prima volta in Scala, a essere la protagonista assoluta. Uno spettacolo lucido e terribile, una sessione di psicanalisi collettiva. La figura di Elettra in Hugo von Hofmannsthal è la sintesi di certe istanze del Novecento. Elektra è tragedia di donne, tutte sole nel proprio martirio. Tutte alla ricerca di un ruolo. Klytaemestra nel suo desiderio di dominazione, Elektra nella sua sete di vendetta, Chrysotemis nella sua non meno egoistica aspirazione borghese a una vita normale. Chereau parte da questo per andare a scavare attraverso il gesto nelle cose non dette, nei pensieri non dichiarati. Nessuno si salva. La madre forse vorrebbe lasciare un ultimo appello alla figlia, la figlia forse era innamorata del padre, la sorella pensa più al vantaggio che alla paura. Gli uomini sono fantocci nelle mani di queste donne.

La scena è essenziale a prospettive sghembe come le architetture dei quadri di De Chirico. Le luci perfette tagliano, ammorbidiscono, svelano, nascondono. Nella loro ambiguità o nitore sono parte essenziale della narrazione. Qualsiasi movimento è necessario nella sua essenzialità ed eloquenza. Il grado zero del teatro.

Sono complici di questa lettura le tre protagoniste che assecondano il volere del regista in maniera perfetta. Waltraud Meier (nello stesso ruolo di Klitaemnestra nell’edizione di Aix en Provence e in quella precedente scaligera) è l’icona di questo spettacolo tanto da sembrare che l’intera produzione sia stata pensata attorno a lei, ma non meno brave sono Ricarda Merbeth (Elektra) e Regine Hangler (Chrysothemis).

La Meier contribuisce in maniera decisiva anche sul piano musicale. Lo smalto vocale è talvolta opaco, ma il cesello con cui ogni parola viene scandita o declamata per caricarsi di senso determina un’interpretazione storica del personaggio.

Ricarda Merbeth è una Elektra dalla vocalità sontuosa e possente che preferisce puntare sulla furia piuttosto che sul tormento interiore. Di Regine Hangler si possono lodare musicalità, voce e soprattutto intelligenza nel saper dipingere una Chrysothemis dalle molte sfaccettature. Michael Volle è un Orest strordinario per canto e prestanza scenica.


Markus Stenz
, impegnato in teatro con la prima mondiale di “Beckett: Fin de Partie” di Kurtàg, ha accettato di sostituire il Maestro von Dohnányi. Un’interpretazione folgorante e assolutamente coerente con l’impostazione registica. Una lettura razionale, lucida, feroce, ineluttabile con pari attenzione alla narrazione drammatica, alla struttura complessiva, alla trasparenza e al dettaglio.

Un’orchestra infallibile da grandissima occasione.