Chailly-Rana-Filarmonica-Scala

Nei programmi dei concerti del Maestro Chailly c’è sempre un racconto.

I brani sembrano scelti non con criterio puramente antologico ma piuttosto per esigenza narrativa. C’è un metalinguaggio, in queste selezioni, che indica all’ascoltatore dove è opportuno che concentri la sua attenzione. E così è stato nel concerto della Filarmonica di questo fine gennaio. Un concerto di novità assolute per la sala del Piermarini. Shostakovich, Boccadoro, Shostakovich. Jazz con piano e piccolo organico; piano con jazz e grande orchestra in forma di poema sinfonico; poema sinfonico per grande orchestra. Non è un mero gioco o divertimento di incastri ma analisi delle forme, sintesi delle differenze attraverso scomposizione e ricomposizione delle similitudini. Architettura non di maniera ma di sostanza.

È nell’ascolto dei singoli brani che ciò diventa più evidente (e divertente).

Cos’è il Jazz? Quali sono i confini che delimitano il concetto di concerto o di sinfonia e dove sfumano e svaniscono? Quali sono stati i linguaggi musicali del Novecento, che cosa si sono portati dietro dal secolo precedente e come si sono traghettati nel nuovo millennio? Sono queste alcune delle domande intriganti che il Maestro, ora anche ufficialmente Direttore Musicale del Teatro, ci ha posto nella serata. L’unica risposta possibile è nell’ascolto.

Dai temi yiddish e tzigani a Ciaikovskij, passando per Bartok, Bernstein e Prokofiev. La prima Suite for Jazz Orchestra no. 1 è una composizione tripartita per piccola orchestra che ha tantissimo dell’anima del jazz e pochissimo del jazz come siamo abituati a intenderlo. Valzer, Polka, Foxtrot. Temi che trasudano di tradizioni popolari dell’Europa centrale. Un uso irriverente del ritmo e di strumenti inusuali. Una strumentazione cameristica puntigliosa che vede nel pianoforte il catalizzatore e l’amalgama dei temi e delle invenzioni musicali.

E non è solo il ritmo o la dedica a Duke Ellington a riportarci al jazz con il secondo brano, il Concerto per pianoforte e orchestra di Carlo Boccadoro, quanto il carattere sincretico della composizione. Boccadoro riporta nella musica la sua esperienza di ascoltatore e divulgatore infaticabile (è il fondatore della rassegna di musica contemporanea Sentieri Selvaggi, quest’anno alla ventesima edizione), mescola generi e modi in un complesso sistema di suggestioni e rimandi senza soluzione di continuità.

I tempi veloci fluiscono nei lenti, le percussioni non si limitano al contrappunto ma vanno alla ricerca di un proprio ruolo tematico. Il piano, alla stessa maniera, sceglie di volta in volta di essere protagonista o di integrarsi totalmente nella trama orchestrale. Un flusso di coscienza che ci porta dai concerti per piano di Bartok e Prokofiev alle le sinfonie di Bernstein per farci approdare nel finale alla Big Band ellingtoniana. Un grande poema sinfonico, più che un concerto nell’accezione classica, in cui il ruolo del pianoforte è straordinariamente importante, con una Beatrice Rana meravigliosa per devozione, piglio, capacità tecnica ed intelligenza esecutiva. Chailly, dal canto suo, dipana il ricchissimo materiale sonoro con rigore e precisione infallibile, non senza un affetto genuino che scalda la partitura tenendola lontana dal rischio di farla sembrare una macchina sonora.

Commissionato da Francesco Micheli per la Filarmonica, questo concerto è la perfetta sintesi del sistema musicale milanese che intreccia grandi istituzioni, volontà private e pubbliche, intelligenze culturali e sociali riuniti nel comune intento di produrre cultura e conoscenza.

E di poema sinfonico ancora si deve parlare per la Sinfonia 12 di Shostakovich. È uno Shostakovich degli anni ’60 dedicato a Lenin, programmatico e cinematografico, in cui ritornano le melodie popolari e militari ingabbiate in una gigantesca struttura affetta da ipertrofia sonora ma che riserva altresì, nelle lagune dei tempi lenti o in certi stacchi ritmici, una chiarezza compositiva esemplare e un’orchestrazione spettacolare. Chailly sceglie ancora una volta la strada del rigore e dell’analisi, che si traducono in vampate che illuminano l’intricata trama sinfonica. Attacchi impeccabili, legni strepitosi, ottoni squillanti. Il Maestro ci crede e non la considera una sorella minore della precedente sinfonia e con sé trascina tutta l’orchestra.

Grandissima serata a cui il pubblico ha tributato un successo giustamente caloroso.