afhkam

David Afkham ha poco più di trent’anni ma ha già diretto le maggiori orchestre internazionali e a breve avrà la sua orchestra (dalla prossima stagione sarà il Direttore Principale della Orquesta Nacional de Espana).


Timido e affabile, avvolto come a difesa in un grosso sciarpone, nella conferenza di presentazione del concerto rammenta il rapporto professionale e umano con Bernard Haitink (“Per me è più di un maestro, è un padre”) e il debito di riconoscenza verso Claudio Abbado con cui ha collaborato per la Gustav Malher Jugendorchester. “Ho scelto – afferma nell’incontro – un programma tenebroso, un programma in minore in cui potermi sentire a mio agio. Vita, Morte e Resurrezione.” Dall’intimità di Webern all’epicità di Sostakovic, passando per l’eroe tragico beethoveniano del terzo concerto per pianoforte.

È la decima sinfonia di Sostakovic la protagonista assoluta del concerto. Cinquanta minuti di turgore musicale, dall’inizio alla fine senza possibilità di respiro. La sinfonia più compiuta e raffinatamente complessa del musicista russo. Scritta nel 1953, il primo movimento dice la parola fine al grande sinfonismo tra ‘800 e ‘900. È come se ci dicesse: “E con questo il discorso è chiuso”. Afkham la affronta da leone e il timido ragazzo della conferenza diventa un maestoso domatore a suo agio nella complessità del primo movimento, così come nella vera scossa tellurica del secondo o nei delicati equilibri dei dialoghi tra fiati del terzo. Filarmonica della Scala strepitosa nel colore brunito degli archi, nella sicurezza degli ottoni e nella precisione dei legni.

Ripercorrendo il concerto in senso retrogrado, il “Concerto per pianoforte n°3 in do minore” di Beethoven è stato il brano che ha consentito a un pubblico quanto meno distratto di ritrovare un terreno riconoscibile e orecchiabile dopo lo sbigottimento e il fastidio delle ingioiellate signore e dei canuti cavalieri per i “Sechs Stucke op.6″ di Webern (scritto più di 100 anni fa!). Una signora alle mie spalle commentava: “ Ma perché continuano a piazzare nei concerti questi pezzi inascoltabili?”. Nella mia testa girava una risposta: “Perché la speranza è l’ultima a morire e fino a che ci saranno stagioni che propongono cultura e non mero intrattenimento ci sarà, forse, la possibilità che persone come lei possano capire”.

Buchbinder è pianista molto acclamato dalle platee internazionali. Il suo Beethoven, impeccabile tecnicamente, mi lascia però freddo. Ora troppo agitato ora troppo salottiero sembra avere una lettura un po’ di maniera che non sempre combacia con il rigore del direttore. Ci regala come bis una trascrizione di walzer di Strauss di Alfred Gruenfeld suonata, questa sì, in maniera sontuosa. Dame e cavalieri naturalmente in sollucchero.

I sei pezzi di Webern sono il grado zero della musica. Sono cristalli: essenziali, necessari, puri. Afkham li affronta con amore e intelligenza. È un brano di grande difficoltà e la carriera lo porterà sicuramente a curare maggiormente i sottili equilibri e le complicate meccaniche interne.

Programma:

Sechs Stücke op.6 (versione 1928)
Anton Webern

Concerto per pianoforte no.3
Ludwig van Beethoven

Sinfonia no.10
Dmitrij Šostakovič

Esecutori:

Filarmonica della Scala

Rudolf Buchbinder – pianoforte

David Afkham – direttore