Grigory

Quando spunta dalle quinte e con rapidi passetti si avvicina allo Steinway posto al centro del palcoscenico, hai l’impressione che questo signore canuto, un po’ curvo e con lo smoking abbondante, si senta vagamente fuori posto.

Con un breve inchino spegne l’onda di applausi che lo sta subissando e siede svelto allo sgabello. La sua figura si fa piccola, piegata sul pianoforte tanto da sembrare fondersi con esso, e quando le dita iniziano a muoversi sulla tastiera capisci che solo in quell’istante è entrato nel suo habitat naturale.

Pianista fra i più celebri e apprezzati oggi in attività, il russo Grigory Sokolov è approdato a Parma nell’ambito della rassegna Piano Solo – organizzata dal Teatro Regio in collaborazione con la locale Società dei Concerti – con un programma imperniato su capolavori di Schumann e Chopin. Se si volesse anatomizzare il suo stile si dovrebbero elencare il tocco di straordinaria nitidezza e precisione anche nei passaggi più impervi, le dinamiche estese e controllatissime, la paletta di colori variegata senza dismisura, l’utilizzo ponderato del pedale. Ma il legante di questi ingredienti – nonché il tratto più saliente del pianismo di Sokolov – è l’inesausto scavo ermeneutico sul testo: la capacità, cioè, di immergersi completamente in un brano e raggiungerne gli antri più reconditi, alla ricerca del suo senso profondo. Tale lavorio produce esecuzioni oltremodo personali e, al contempo, scevre di forzature e superfetazioni: un dialogo di altissimo livello, insomma, fra interprete e autore.

Il talento cristallino di Sokolov è emerso fin dal brano di apertura del recital, l’Arabeske op. 18 di Schumann, collocato in una dimensione dilatata, fluttuante, che in qualche modo richiama, fin dalle prime note, il profilo sognante della coda. Con la successiva Fantasia op. 17 viene svelato un diverso volto dello stesso autore: i netti contrasti dinamici e ritmici esaltano il carattere frammentario della composizione, affrontata con impeccabile perizia tecnica (di grande suggestione gli imperativi stacchi nel finale del primo movimento). La stessa cifra interpretativa contraddistingue la lettura dei due Notturni op. 32 di Chopin: ma, in questo caso, all’esaltazione di colori e volumi si affianca una liricità a tratti straziante (come nell’esordio del Notturno in Si maggiore). Smessi i panni del pittore meticoloso e sognante, Sokolov indossa quelli del grande attore drammatico per affrontare la Sonata op. 35 di Chopin. Qui il suo pianismo si fa intensissimo, viscerale – a tratti, addirittura, quasi al limite dello sporco –, e raggiunge un vertice di assoluto incanto nella Marcia funebre, esasperata nelle sue peculiarità dinamiche e melodiche: l’occasionale approdo alle tonalità maggiori assume la valenza di un salvifico quanto effimero raggio di luce in un paesaggio di infinita desolazione.

Giunto alla fine del programma, in ossequio a una prassi ormai proverbiale, Sokolov inanella ben sei bis: tre dei Moments musicaux di Schubert (il secondo, il terzo e il quarto), la Mazurka op. 63 e il Preludio op. 28 di Chopin e, infine, il Preludio di Debussy Canope, che con la sua aura eterea sembra voler sigillare il grande arco retorico avviato con l’Arabeske schumanniano. Al riaccendersi delle luci la sala risuona di applausi torrenziali che il grande pianista accoglie con un impercettibile sorriso, prima di lasciare il palcoscenico con paciosa discrezione.