242_K65A8102

Ci sono spettacoli che entrano nella leggenda, nella storia del teatro.

Il Ratto del Serraglio firmato dalla coppia Strehler – Damiani è uno di quelli che più hanno segnato l’immaginario teatrale mozartiano di tutto il ‘900. A 50 anni di distanza dalla sua prima presentazione a Salisburgo, la magia di questo spettacolo è intatta, anzi è di una forza ancor più dirompente.

È l’essenzialità narrativa, oltre che stilistica, che lo contraddistingue e che ci riempie di stupore. Non c’è affettazione, non c’è sovrastruttura, non c’è nulla di men che necessario. Le luci, le famose silhouette in controluce, i pochissimi attrezzi di scena, i costumi luminosi, le carezze, i capitomboli, le catene, le trine. Tutto è necessario, assolutamente necessario: al racconto, alla musica, ai personaggi. È una lezione impagabile di teatro, nella sua essenza più pura.

È un gran merito che La Scala ci riproponga una simile meraviglia. Lontani dalla stanchezza del repertorio, ci sono spettacoli così miracolosi che dovrebbero essere riproposti a distanza di anni in maniera ripetuta. Il fatto che, come alla prima salisburghese, ci sia di nuovo Zubin Mehta a dirigerla aggiunge un’ulteriore nota d’interesse e di nostalgia. E quanto è bello il suo Mozart e quanto è cambiato nel tempo. Trasparente, brunito, malinconico, affettuoso, meno vitale di un tempo ma più umano, più sfumato. Il controcanto perfetto alle luci di Marco Filibeck.

Il Ratto del Serraglio è un’opera non perfetta eppure entusiasmante. È un concentrato musicale, un laboratorio continuo di fantasia, nelle soluzioni armoniche e nelle invenzioni vocali. È in Martern aller arten, forse l’aria più famosa dell’opera, che si capisce la simbiosi perfetta tra le attenzioni musicali di Mehta in quello che è uno dei più meravigliosi accompagnamenti della storia dell’opera e la pirotecnia vocale mai algida e sempre impeccabile della Kostanze di Lenneke Ruiten – che avevamo avuto già la fortuna di sentire nello splendido Lucio Silla della scorsa stagione.

Ma se la performance della Ruiten è stata superlativa, la Blonde di Sabine Devieilhe è la grande sorpresa della serata. Perfetta. Nella vocalità, nell’interpretazione e nella gestualità leziosa e delicata. Tutto il cast è di assoluto livello, con l’ottimo duo di tenori Belmonte (Mauro Peter) e Pedrillo (Maximilian Schmitt) e l’appropriato Osmin di Tobias Kehrer.

L’Orchestra della Scala è capace di un Mozart trasparente, caldo, preciso. Grande trionfo di pubblico per uno degli spettacoli migliori della stagione.