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Fra le creature più terribili del teatro musicale del’900, la Kostelnicka matrigna di “Jenufa” occupa un posto di primo piano.


Bigotta, psicotica (la linea vocale sale con impennate vertiginose per poi calare improvvisamente), la sagrestana di Janáček si macchia di un folle infanticidio, nel delirante tentativo di riassettare dinamiche familiari (e sociali) sull’orlo della rovina. Sullo sfondo, una Moravia ancestrale, coi suoi riti quasi magici, e una campagna tra folklore colorato e superstizione: alcuni secoli prima, nel suo castello praghese, l’imperatore Rodolfo II si dedicava a ricerche alchemiche, elemento non a caso ricordato anche nell’“Affare Makropulos” dello stesso Janáček.

Il regista Alvis Hermanis, nel suo allestimento proveniente dalla Monnaie di Bruxelles e ora portato al Comunale di Bologna, si concentra sulla contrapposizione fra pubblico (così folkloristico nel primo e terzo atto, tra feste e costumi tipici, nei quali i personaggi sembrano marionette di una recita popolare) e privato, che nel secondo atto è un angusto interno, gelido ricettacolo di demoni interiori. Uno spettacolo ben congeniato e formalmente perfetto, anche grazie ai già citati costumi – realizzati da Anna Watkins – e alle proiezioni video in stile liberty di Ineta Sipunova. Unico appunto: le costanti coreografie (riprese da Anais van Eycken) appaiono superflue e pretestuose, dal momento che non trovano mai un valore drammaturgico e si riducono a semplice surplus scenografico.

Ottima, per quanto riguarda la parte musicale, la direzione di Jurai Valcuha, vero esperto di questo repertorio. La conduzione della partitura è nel complesso attenta ai particolari e alla valorizzazione dei singoli strumenti, anche se non sarebbe dispiaciuta una maggior attenzione a certi dettagli di dinamica, una più attenta resa di alcuni crescendo e diminuendo. Nella compagnia di canto spicca la delicata Jenufa di Andrea Dankova, attenta al fraseggio e sempre misurata, nonostante il colore non troppo personale. Accanto a lei, eccellente Brenden Gunnell, un Laca dotato di registro acuto saldo e anche capace sfumature nonostante il volume sostanzioso. Meno centrato lo Steva di Ales Briscein, che presenta alcuni problemi di intonazione e, in generale, offre un’interpretazione piuttosto monocorde. Angeles Blancas Gulin è invece una Kostelnicka problematica, la cui voce non sempre è addomesticata a dovere, con il fiato appoggiato nella zona nasale, i cui acuti suonano aspri. Nonostante ciò va riconosciuto alla cantante un ottimo carisma scenico.
Di buon livello tutti gli altri personaggi secondari, con una menzione particolare per la Nonna di Gabriella Sborgi, per il Sindaco di Luca Gallo e per il pastorello Jano di Sandra Pastrana.

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