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Se Mozart non fosse esistito e un autore qualsiasi avesse scritto il Lucio Silla, probabilmente lo annovereremmo tra le maggiori opere del ‘700.

Per fortuna nostra invece, Mozart è arrivato a scompigliare le carte della storia e Lucio Silla è diventata opera cosiddetta minore e purtroppo dimenticata. La musica è meravigliosa, l’impianto drammaturgico molto meno. Ma è il flusso ininterrotto di invenzioni, il giocar continuo con la tradizione tra vicinanza e suo sovvertimento, l’anticipazione di tutto quello che sarà il suo futuro musicale (dall’Idomeneo al Così fan tutte, dal Ratto del Serraglio alla Clemenza di Tito) a sorprenderci e a stregarci. Tutto questo accadeva quando Wolfgang aveva 16 anni. A Milano.

L’edizione del Teatro alla Scala è pertanto più che benvenuta, non solo perché ci fa riscoprire un capolavoro ma soprattutto perché la versione MinkowskiPynkoski (giuro non è un calembour) è vicinissima alla perfezione assoluta. Uno spettacolo misuratissimo, esteticamente meraviglioso (scene, luci e costumi tutti di entusiasmante bellezza), recitazione curatissima, scavo psicologico dei personaggi, grande consapevolezza dello spazio scenico. Una filologia mimata delle pratiche teatrali del XVIII secolo (nelle movenze, nei finti lumi ai bordi del palco, nel proscenio avanzato che si spinge per le arie dei cantanti verso la platea) che non è leziosità ma recupero ironico.

Marc Minkowski
è eccezionale per la cura e l’amore, per il cesello e il piglio che mette nel restituirci l’opera. Un suono tagliente e mai freddo, tempi rapidissimi e nervosi. Il Mozart incipriato e galante è un’altra cosa. Il direttore ha una visione unitaria dell’opera e sopperisce con la precisione del linguaggio musicale alle mancanze del libretto. Recitativi scolpiti, dizione curatissima, accompagnamento delle voci meticoloso.

Le voci appunto. Se si esclude il Lucio Silla di Kresimir Spicer (bella pasta vocale ma inadeguato nel controllo della voce, spesso sguaiato e sopra le righe) il cast è fenomenale nell’assecondare il direttore e il regista. Un’idea di compattezza e coerenza complessiva in cui i singoli personaggi vengono esaltati dal proprio ruolo nel disegno totale. Il Cecilio di Marianne Crebassa, interprete di grande intelligenza e belle dote vocali, il funambolismo vocale della Giunia di Lenneke Ruiten (che meraviglia, che presenza, si potrebbe chiedere di più solo un maggior peso nel registro grave), l’accorato Lucio Cinna di Inga Kalna e la deliziosa Celia di Giulia Semenzato.

E siamo dunque al secondo spettacolo importato da Salisburgo dalla direzione Pereira. Il vituperio che quasi aveva messo in dubbio il suo ruolo da Sovrintendente ci ha regalato due meraviglie assolute. Forse, dico forse, bisognerebbe guardare meglio all’effettivo contenuto delle polemiche e a chi le muove.

Direzione:

Direttore
Marc Minkowski

Regia
Marshall Pynkoski

Scene e costumi
Antoine Fontaine

Coreografia
Jeannette Zingg

Luci
Hervé Gary