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“Fidelio”, l’unica opera di Ludwig Van Beethoven, vide la luce per la prima volta in una Vienna sottosopra, nel 1805.

La storia di Leonore e Florestan era però solo all’inizio, dal momento che Beethoven vi ritornò fino al 1814, altro anno di grandi agitazioni in un’Europa che si avviava verso inquietudini e fervori crescenti. Nel dramma di amore, intimo e universale, musicato da Beethoven è possibile trovare un balsamo contro i periodi di crisi: la speranza riposta nell’umanità, che tocca un vertice sublime nel coro dei prigionieri che rivedono la luce per un istante, la speranza nella libertà e dunque nella gioia, che illuminano anche la prigione più fosca.
Piuttosto opprimente, invece, l’atmosfera del “Fidelio” andato in scena all’Opera di Firenze per il 78esimo Maggio Musicale, fra l’altro inficiato alla prima e in altre recite da alcuni scioperi. L’allestimento di Pier’Alli si è quindi potuto vedere al completo solo nella pomeridiana del 3 maggio, cui facciamo riferimento. Spettacolo fermo, dove la recitazione dei cantanti non risulta curata al massimo: pare che Pier’Alli, a parte le sue tipiche proiezioni (che questa volta ci portano all’interno della prigione nel secondo atto), non abbia altre idee, e si limiti a seguire, scrupolosamente, didascalicamente, il libretto. In un’opera in sé statica e sublime come “Fidelio” può essere un rischio, che si paga con la carenza di ritmo scenico.

Di altissimo livello, invece, la direzione di Zubin Mehta, che serve la partitura beethoveniana con scelte agogiche e dinamiche di grande coerenza: stupendi l’accompagnamento etereo del quartetto “Mir ist so Wunderbar” e il crescendo della “Leonore 3″, inserita fra prima e seconda scena del secondo atto.
Meno omogenea la compagnia di canto, in cui spiccavano le due voci femminili. Ausrine Stundyte è una Leonore di tutto rispetto, con acuti ben calibrati, e ottima nell’accento. Il timbro particolare la aiuta a creare un personaggio credibile e personale. La Marcellina di Anna Virovlansky, seppure lievemente confusa nelle colorature, ha una voce vispa e fresca, ma sa all’occorrenza rivelare una punta di malinconia e di languore, riuscendo a tratteggiare finemente un personaggio che, altrimenti, rischierebbe di passare in secondo piano. Fra gli uomini si sono distinti particolarmente Manfred Hemm, Rocco, soprattutto per la fermezza nelle regioni più gravi, e Eike Wilm Schulte, Don Fernando, che viene egregiamente a capo della sua breve ma difficile parte, mentre ha meno convinto il Florestan di Burkhard Fritz che, pur risolvendo la sua complicatissima aria di esordio, appare affannato nello spingersi verso l’acuto e nel legare la frase. Ancora più in difficoltà il Don Pizarro di Evgeny Nikitin, disordinato nell’emissione e dall’intonazione sempre in bilico. Adeguato Karl Michael Ebner quale Jaquino.
La lode finale va al Coro del Maggio Musicale Fiorentino, vero coprotagonista di “Fidelio”, preparato ottimamente da Lorenzo Fratini.

Esecutori:

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino

Zubin Mehta
direttore

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foto credit: Michele Borzoni