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Preceduta da un concerto in Galleria Vittorio Emanuele per cinque complessi bandistici diretti da Luca Francesconi e dall’apertura della mostra “Omaggio a Maderna” al Museo del Novecento, la serata inaugurale di questa stagione di Milano Musica è riuscita ad attirare una discreta quantità di pubblico.

Per l’occasione la Filarmonica della Scala guidata da Ingo Metzmacher ha eseguito due brani fondamentali di Bruno Maderna (figura cui è dedicato il Festival) come il Concerto per violino e orchestra con il violinista Francesco D’Orazio e Aura, pezzo breve ma favoloso, incastonati fra due “classici” della Seconda Scuola di Vienna: la Passacaglia di Webern in apertura e Tre Pezzi per orchestra op. 6 di Alban Berg (di cui tra poco alla Scala andrà in scena il Wozzeck) a conclusione. Programma sontuoso in ricordo di Luciana Pestalozza e Claudio Abbado.

Maderna è un compositore fondamentale nel panorama delle avanguardie del II dopoguerra: controcorrente rispetto alla tendenza che vedeva nella ricerca del “grado zero” del linguaggio musicale una possibile rinascita, egli non tagliò mai i ponti con il passato, consapevole della sua importanza. Il risultato è una commistione di passato e futuro, volto a stimolare l’essere umano le sue emozioni. Emozioni che Metzmacher riesce bene a risvegliare, e il Concerto per violino e Aura risultano i brani eseguiti al meglio nel corso della serata: sia la Filarmonica che D’Orazio ben riescono a rendere l’atmosfera melodiosa, un poco malinconica ma anche aspra e a volte quasi spettrale delle partiture maderniane.

D’Orazio interagisce magistralmente con l’orchestra con la quale è chiamato a mettersi in contrapposizione e si conferma grande violinista, protagonista indiscusso nelle due grandi cadenze. Interessante, nel Concerto per violino, la disposizione dell’orchestra ove la sezione di archi è divisa in due zone, una sul palcoscenico e l’altra di fronte, nel Palco Centrale; l’effetto è di una musica che trapela da tutte le direzioni. Nella Passacaglia e nei Tre Pezzi per orchestra op. 6, la compagine orchestrale sembra aver ceduto saltuariamente a un suono non sempre pulito (soprattutto gli ottoni) e a un’esecuzione a volte un poco disordinata, dando l’impressione di aver puntato più sulla parte centrale, cuore della serata.