Giordano-Bruno-Filidei

Primo e ultimo appuntamento italiano di questo 2015 per Milano Musica: sabato 7 novembre al Teatro Strehler è andata in scena l’opera Giordano Bruno del quarantenne Francesco Filidei.

Il lavoro del compositore pisano era già apparso sui palcoscenici di Porto, Strasburgo e Reggio Emilia con discreto successo di pubblico e critica. A Milano è giunto grazie all’invito all’interno della rassegna di Milano Musica con la coproduzione del Piccolo Teatro – Teatro d’Europa.
L’opera – su libretto di Stefano Busellato, per la regia di Antoine Gindt e con il Remix Ensemble diretto da un bravo Léo Warynski – si presenta con un impianto ben preciso: dodici quadri in cui si alternano scene filosofiche, ove sono esposte le diverse teorie di Bruno, ambientate in un tempo sospeso, ad altre legate invece alla vita dell’uomo, dalla cattura a Venezia, al processo a Roma e al rogo finale. La filosofia e la storia insomma.

È proprio la musica di Filidei a dettare questa struttura, con una gamma cromatica ascendente per le scene filosofiche, tendenti all’astratto, eteree, e una discendente che porterà alla disfatta finale, al rogo. Poco importa se in corso d’opera questa distinzione, molto chiara nelle prime scene, tenda poi a confondersi, perché il risultato finale – musicalmente – è ugualmente interessante: in orchestra timbri e colori sono molto vari e l’opera presenta parti ampiamente liriche alternate ad altre più dure, più concrete, con un recitato quasi “singhiozzato”, che dà luogo ad un’atmosfera tesa, di qualcosa che incombe.
E in effetti, per tutta la durata dell’opera, a incombere è la presenza di Papa Clemente VIII, sempre in scena nonostante lo spazio musicale molto ridotto, ma che ha la propria aria in un momento fondamentale: la condanna. A interpretarlo il controtenore Guilhem Terrail, affiancato dai due Inquisitori – Jeff Martin, tenore, e Ivan Ludlow, basso – e dal baritono Lionel Peintre nelle vesti di un incisivo Giordano Bruno. Un cast in cui non vi è nulla da eccepire e a cui si affianca, quasi come quinto personaggio, l’insieme dei dodici coristi, che colpisce per bravura sia nelle parti cantante che, soprattutto, nelle parti recitate. Interessante è constatare come gli stessi che nelle scene “storiche” assumono valenza di personaggi in carne e ossa, nelle scene “filosofiche” sembrano quasi personificare pensieri e teorie, in una sospensione di tempo e azione.

Forse nel complesso ciò che convince meno è la realizzazione di Antoine Gindt: la scena si presenta piuttosto scarna, con una semisfera nera che incombe su tutti i personaggi, a ricordare le teorie eretiche del filosofo. Si ha talvolta l’impressione di una sorta di scollamento tra ciò che avviene musicalmente e ciò che si osserva e alcune scene sembrano addirittura un poco forzate e ostentate (come ad esempio la lunga orgia iniziale del Carnevale di Venezia). Sorge quindi spontaneo chiedersi come sia avvenuta la collaborazione tra compositore e regista e cosa ne pensi lui stesso di questa messa in scena.

La serata ha comunque suscitato un caldo applauso del pubblico presente e per i più curiosi l’opera tornerà in scena nel prossimo 2016: il 14, 15, 18 e 19 aprile presso il Théâtre de Gennevilliers e il 26 aprile presso il Théâtre de Caen. Un’occasione per ideare un viaggio oltralpe e scoprire quanto ancora può essere attuale, in un’epoca in cui spesso si tende a nascondere e sotterrare la parola contraria, un personaggio come Giordano Bruno.