Notte_balinese_GM3

Il teatro della Luna è gremito di gente, giunta ad immergersi in uno spettacolo dalle radici lontane. La scenografia è semplice, un canovaccio nero, pronto ad accogliere una coreografia fatta di mille sfumature di colore.

Lo spettacolo comincia con una composizione strumentale, dove il Gamelan ci viene presentato con tutte le sue sfaccettature e le sue risorse sonore. I musicisti hanno una postura e una espressione austera e solenne. Al centro del palco una figura quasi di santone ha davanti a sè i due tamburi kendang kendang , strumenti conduttori dell’ensemble. Ai lati troviamo uno schieramento di jublag e jegog da una parte, e terompong dall’altra, percossi da dei martelletti che, nel movimento, danno una forma visiva al ritmo, scandito gravemente da un grande gong sospeso. Gansa, barangan, kempli e cimbali definiscono le linee melodiche delle composizioni.
Le sonorità sono ripetute e a volte distorte, per dare valore alle sfumature melodiche. La ritmica è dapprima scandita e regolare, talvolta accennata, per poi esplodere in un crescendo maestoso. Un ensemble affascinante e coinvolgente.
Anche la presentazione dei danzatori avviene con un crescendo: si comincia con delle figure solitarie, che man mano si moltiplicano. Si parte da una danza pura, astratta, asessuata e senza una trama. I personaggi cominciano a delinearsi col sopraggiungere di altre figure, fra le quali nasce un dialogo e uno scambio, fatto di sguardi e gestualità, rappresentativi ora di una scena di seduzione, ora di una sfida.
I costumi sono di una ricchezza che lascia abbagliati. L’oro e i colori risaltano sullo sfondo nero e danno luce alla scena. Gli ornamenti (copricapo, ventagli, ali, drappi) sono prolungamenti del corpo e danno forza e significato ai movimenti, che scivolano sinuosi da un corpo ad un altro, ricongiungendosi persino con i movimenti scanditi dei suonatori. Gli occhi sono penetranti e di una vivacità espressiva impressionante, non solo quando sono quelli reali di un danzatore, ma anche quando sono disegnati su una maschera.
Dopo i balli anni venti, la seconda parte dello spettacolo introduce lo spettatore al teatro danzato degli dei e degli uomini, ed è in questa seconda parte che viene raffigurato il teatro di Artaud. Gli abiti si trasformano in maschere rappresentative di animali, mostri, divinità e stregoni. Si insinua sul palco un mondo soprannaturale, una realtà misteriosa che si sposa con la quotidianità della vita balinese. La sfida continua fra il bene e il male è alla base della trama.
Lo spettacolo ha un epilogo quasi inaspettato.
Entra in scena il Tjak, un antico coro maschile, spogliato dallo sfarzo, e coperto solo da un pantalone quadrettato a mezza gamba. Le loro voci si modulano per imitare i rumori della notte e della natura. i musicisti non servono più perché la struttura musicale del coro sembra riprodurre il galeman stesso. I movimenti del corpo, e in particolare delle braccia e delle mani, esprimono una ritmica complessa che induce all’estasi, degno finale di questo viaggio visivo e sonoro.

Programma:

Atto I
Bali Anni 20: le danze e la nascita del gamelan gong kebyar

Atto II
Bali, danze e drammi: il teatro danzato degli dei e degli uomini

Esecutori:

Orchestra gamelan, danzatori e attori della Compagnia di Sebatu