bellocchio

Ha scritto Schiller che “l’uomo è completamente uomo soltanto quando gioca”. Frase da ricordarsi soprattutto quando si parla di arte e creatività: come il bimbo gioca con le cose, l’artista gioca con le forme.

Anche György Kurtág prende molto sul serio i giochi: in ungherese si dice “Játékok”, titolo di una sua ventennale raccolta per pianoforte che Maria Grazia Bellocchio ha magnificamente proposto in una selezione al Museo del ’900 nell’ambito della rassegna “Sei monografie al Museo del ’900″ all’interno della stagione di Rondò, a cura di Divertimento Ensemble.

“Játékok” è una specie di “diario artistico di Kurtág”, spiega la pianista milanese introducendo il concerto. Raccolta che per il compositore fa un po’ la parte dei racconti per Tolstoj o delle novelle per Pirandello.
“La brevità gran pregio!”, canta infreddolito Rodolfo nella “Bohème”. Spesso accade infatti che proprio nelle forme brevi, considerate il più delle volte semplici laboratori creativi, si trovino gemme persino superiori agli osannati grandi capolavori di un artista, per quell’immediatezza genuina cui la brevità obbliga.

E questa preziosità si nasconde anche in “Játékok”, in cui ogni passaggio sembra una scoperta e ogni pagina si colora timidamente di ingenuità. Non un vero e proprio percorso pedagogico, piuttosto un’opera di aforismi che si accostano all’infanzia per pura suggestione. Come un ready-made sonoro alla Duchamp, gruppi di note solo in apparenza strimpellate senza un filo conduttore assumono d’improvviso un senso diverso e inaspettato: diventano arte per volontà di compositore ed esecutore, allo stesso modo in cui un orinatoio si può chiamare Fontana se esposto in un museo.

Fin dal pezzo di apertura del concerto, “Perpetuum mobile (objet trouvé)”, la pianista mostra in tre minuti soli che “l’oggetto trovato” è proprio il pianoforte, e lo spunto è dato da complicati glissandi eseguiti su tutta la tastiera, quasi per esplorarla. È come se gli 88 suoni di questa scatola magica si potessero comporre in infinite figure tutte egualmente rilevanti: si direbbe il lato musicale della democrazia – o quello democratico della musica.

Maria Grazia Bellocchio è sicura e consapevole di tutte le sfumature dei brani scelti, e dà prova di una capacità di contenimento del tutto adeguata alla trattenuta “poetica del frammento” del compositore ungherese. Dai tre “Versetti biblici” selezionati ai “12 Microludi” dell’“Hommage à Kadosa”, la pianista si immerge senza esitazioni in ognuna di queste piccole città invisibili, riuscendo a trovare la chiave per cambiare scala dimensionale: dal micro al macrocosmo, dall’unità incoerente alla molteplicità finalmente risolta.

Programma:

György Kurtag
Da Jatékok (1973-2010)

Esecutori:
Maria Grazia Bellocchio
pianoforte