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Non capita tutti i giorni di sentire le esecuzioni dal vivo della musica di Paolo Castaldi.

E mi riferisco non solo al brano Sunady Morning, incredibile, ma di difficile realizzazione (è previsto un utilizzo di materiali e oggetti fuori dalla norma), ma anche ai brani più “tradizionali”, in cui la partitura prevede solo strumenti. Eppure Castaldi è figura fondamentale nel panorama della musica italiana a partire dal dopoguerra: all’avanguardia, ironico, intelligente, nel suo percorso ha ancora oggi idee rivoluzionarie, inimitabili e originali. Lo sanno bene i musicisti di Sentieri Selvaggi, per i quali, come spiega Carlo Boccadoro, «Castaldi è una sorta di padre spirituale». La sua musica nelle stagioni dell’ensemble ha sempre trovato spazio e numerose sono, nella storia di Sentieri, le prime esecuzioni assolute del compositore. Non poteva mancare, quindi, una serata a lui dedicata nella stagione dei vent’anni, “La rosa dei venti”.

E così il 7 marzo l’ensemble ripercorre, attraverso cinque titoli della produzione degli anni ‘70, alcune delle tappe fondamentali della parabola del compositore, presente tra l’altro in sala con tanto di commenti positivi e negativi sulle varie esecuzioni. A introdurre la serata, al solito, Boccadoro ha speso due parole sull’artista, nella consueta modalità che ricorda le conversazioni radiofoniche da cui il gruppo ha mosso i primi passi. Questa volta, però, l’introduzione è più breve del solito: «Per capire la musica di Paolo Castaldi non c’è miglior modo che ascoltarla…». Spazio alla musica. Ad aprire le danze Clap, brano per pianoforte e clarinetto – rispettivamente Andrea Rebaudengo e Mirco Ghirardini – che si concentra sull’alternanza tra suono e silenzio, una delle peculiarità della “poetica” del compositore milanese.
Il pezzo ricorda, come impostazione, il gioco infantile “un due tre… stella!”. Anche la musica, come il gioco, è fatta di continui momenti suonati vivacemente, e improvvisi silenzi, spesso nati in seguito al battere delle mani, da cui il titolo “clap”. Inutile dilungarsi sulla bravura e complicità dei due musicisti, sempre a tempo in maniera perfetta.

La serata prosegue con Simile C, in cui sono le doti di Paola Fre e il suo flauto a emergere, poi con Idem e Scale (pezzo geniale per pianoforte che Rebaudengo padroneggia senza esitazioni; da ascoltare) in un percorso che si arricchisce via via di oggetti, suoni, strumenti. Tutte caratteristiche che sfociano nel brano finale, Sunday Morning, di una lucidità e consapevolezza incredibili, soprattutto se si considera la data di composizione, 1974. Il brano prevede l’utilizzo in scena di una quantità infinita di oggetti affiancati agli strumenti. Aspirapolveri, radio, ferri da stiro, campanelli, rami ricchi di foglie. L’accostamento di elementi eterogenei sembra voler dare un qualche messaggio anche visivo – la scena è effettivamente suggestiva e pittoresca – ma in realtà ogni oggetto è presente esclusivamente per i fini esecutivi del brano.

Sebbene la prima reazione nel vedere musicisti alle prese con rasoi elettrici e macchine da scrivere sia di ilarità, via via che il pezzo procede – la durata è di circa mezz’ora – ci si rende sempre più conto di quanto questo sia studiato in ogni dettaglio: i timbri diversi, le sovrapposizioni di suoni, l’intrusione della voce umana, i tempi. Incredibile. A coordinare il tutto Mirco Ghirardini (a cui Castaldi ha affidato un lascito quasi spirituale), che guida i colleghi in maniera consapevole ed estremamente carismatica, a proprio agio nel ruolo.

Serata dalla quale si esce entusiasti e arricchiti: per aver scoperto nuove strade, nuovi sentieri, appunto. Guidati dall’esperienza e dalla solidità dell’ensemble di Sentieri Selvaggi.