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È l’ultimo giorno di primavera e le otto di sera sono già suonate. Parma è schiacciata dal caldo.

Un caldo unto e feroce, che toglie la voglia di respirare, che fa diventar cattivi; un caldo col quale in questo angolo di Pianura Padana bisogna giocoforza saper convivere. L’appuntamento è nella piazzetta antistante al Due, il teatro di prosa per eccellenza della città. Di solito da lì si passa solo per entrare in un parcheggio sotterraneo dai costi formidabili. Stavolta però il moto è contrario: non verso il basso, ma verso l’alto. Qualche rampa di scale e si apre un foyer a cielo aperto, col suo caffè brillantato; ancora due passi, giri l’angolo, ed ecco l’Arena Shakespeare: uno spazio tutto nuovo, un teatro a metà tra il greco e l’elisabettiano, che proprio oggi, per la prima volta, si schiude alla città.

Guardi all’insù e vedi già qualche timida stella. Questa sera si recita Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, con le musiche di scena di Mendelssohn. Quando risuonano le prime note della meravigliosa Ouverture, frutto della fantasia di un compositore appena diciassettenne, balsamo freschissimo si spande in un baleno. Dal sipario spunta la testa malandrina di Puck, ed ecco che – meraviglia delle meraviglie – l’afa si dilegua e cresce tutt’attorno un bosco rigoglioso popolato di fate e fauni. L’allestimento non è nuovo, ma rinnovato. Sette anni fa lo si era applaudito al Teatro Regio; oggi, con una drammaturgia più frizzante e in un contesto meno ingessato, il risultato è ancora più gustoso.

Sull’arguta traduzione del testo scespiriano approntata da Luca Fontana, il regista Walter Le Moli costruisce uno spettacolo snello e coinvolgente, che esalta lo spirito giocoso degli attori (in buona parte membri della compagnia stabile del teatro Due). Il ruolo di Puck sembra ritagliato sul fisico nervoso e sul piglio irriverente di Luca Nucera; Paola De Crescenzo è tanto regale quanto fascinosa nella duplice veste di Titania-Ippolita; il Nick Bottom di Nanni Tormen governa con una comicità candida, quasi materna, la scalcinata troupe di attori-artigiani chiamata ad inscenare la storia di Piramo e Tisbe.

La parte musicale dello spettacolo è affidata a Noris Borgogelli, che guida con buon mestiere l’Orchestra Filarmonica Toscanini, le soliste Elena Bakanova e Aurora Faggioli, e il coro giovanile Ars Canto. Al di là di qualche legnosità in passaggi che richiederebbero leggerezza, e di tempi un po’ troppo languidi nel Lied con coro, il risultato complessivo soddisfacente, e soprattutto ben amalgamato con il dramma.

Le due ore di spettacolo scorrono lievi per gli spettatori che assiepano l’Arena: si dimentica il caldo, il mal di natiche provocato dalle austere gradinate in cemento, il rumore del traffico che di tanto in tanto, in lontananza, tenta invano di turbare il Sogno. Shakespeare e Mendelssohn: quale miglior modo per celebrare il solstizio d’estate?