094_K65A8745 Placido Domingo

Che l’opera barocca sia noiosa e di scarso interesse per il pubblico è un fatto tutto da dimostrare.

Sicuramente il Tamerlano scaligero contraddice questa credenza. Il teatro pieno in ogni ordine, complice sicuramente la presenza nel cast di Placido Domingo, ha dimostrato che quando si fa una proposta valida il pubblico c’è, è curioso e perfino entusiasta -
come dimostra la decina di minuti di applausi alla fine della recita.

Le oltre quattro ore e mezza di spettacolo non hanno fiaccato lo spirito dei molti presenti. Non una defezione, non uno sbadiglio. Tamerlano è una delle opere più importanti di Handel ma anche una delle meno eseguite. Sarà forse a causa dei copiosi recitativi che, in verità, sono uno dei cardini strutturali dell’opera e aiutano a dare una dimensione drammaturgica a un impianto narrativo assai debole. Ma quanta musica, quanta bellezza!

Sembra che in Scala si stia delineando un concreto “progetto barocco” nella programmazione, e ancor prima nella proposizione di un “modello Scala”. Una compagine orchestrale consapevole, una guida continuativa del percorso, un’impostazione scenica contemporanea.

E quindi partiamo dall’Orchestra e dal Direttore. L’ensemble, composto da elementi dell’orchestra residente su strumenti antichi e da I Barocchisti della RSI-Radiotelevisione Svizzera, è un sorta di prototipo (visto già per Il Trionfo del tempo e del disinganno) per creare una compagine di esperti che possano affrontare con proprietà il repertorio barocco. E che proprietà! Suono limpido e caldo, volume adeguato alle dimensioni del teatro, attacchi precisissimi. Non una sola sbavatura.

Diego Fasolis dirige con grande controllo e con una tensione che aumenta atto dopo atto. Coerenza, visione d’insieme, equilibrio con il palcoscenico, attenzione alle voci e sensibilità narrativa per i molti recitativi, realizzati con fantasia e plasticità da un team eccezionale di cantanti. Placido Domingo innanzitutto: cinquant’anni di palcoscenico, di tecnica, di studio e di passione ci restituiscono un artista la cui unicità e intelligenza lasciano ogni volta ammutoliti. Si potrebbe discettare su quanto la sua interpretazione di Bajazet sia aderente ai canoni a cui ci riferiamo per il canto di questo repertorio. Bene, non lo è per niente. È un’interpretazione tutta sua e per questo irripetibile e straordinaria nella sua umanità. La voce è ferma e sicura, con un registro centrale intoccato e omogeneo in tutta la tessitura del personaggio – comunque non troppo audace. Una voce così importante ha certamente qualche complessità di gestione nelle agilità, ma la profondità dell’interpretazione ci fa di buon grado dimenticare questo aspetto.

Maria Grazia Schiavo è un’Asteria sfavillante che stupisce soprattutto per la nitidezza della dizione, per il gusto di tornir la parola: voce suadente, puntualità nel fraseggio e nella coloratura in una parte gravosa e insidiosa sotto il profilo sia interpretativo sia vocale. Il Tamerlano di Bejun Mehta è formidabile. Impeccabile vocalmente, delinea un personaggio ricco di sfumature nella protervia, nella dolcezza, nel perdono. Un interprete straordinario e potente, agile e morbida nel registro grave come in quello acuto. Una visione musicale assolutamente moderna. Gli fa da contraltare Franco Fagioli, dalla voce meno robusta, ma altrettanto preciso e perfettamente a suo agio nel personaggio. Un binomio perfetto in barba a quanti ancor oggi storcono il naso davanti ai contraltisti. Ottima presenza scenica e recitazione da attori consumati in entrambi i casi.

Marianne Crebassa è alla sua terza apparizione alla Scala ed è già diventata una beniamina del pubblico milanese. Una voce molto particolare, non estesissima ma seducente con una presenza scenica straordinaria. La scena a sfondo lesbo è da manuale. Un grande pezzo di teatro. Chiude il cast un ottimo Christian Senn, perfettamente in parte e preciso nelle agilità anche con una voce di tale spessore. Livermore è uno dei registi più straordinari della scena operistica internazionale. Tale straordinarietà nasce da letture sempre intelligenti e mai scontate, ma soprattutto dallo studio della partitura e dalla sua eccezionale musicalità.

Tamerlano, come accade in molte delle opere pre-Gluck, è una sorta di canovaccio di eventi che si succedono per descrivere un disegno di supporto alla musica. In questo caso la mappa emotiva e lo scheletro narrativo rimangono intatti, ma su questi viene sovrapposta un’altra storia che non è mera trasposizione storica degli eventi ma un ri-narrazione. Siamo quindi nella Russia del 1917 durante la Rivoluzione. Tamerlano è Stalin e Bajazet lo Zar Nicola. Il “mood board” – come direbbero oggi gli uomini di marketing – è Ottobre di Ejzenstejn. Sin dall’ouverture, la proiezione di una statua che viene abbattuta ci ricorda la medesima scena che apre il film. Sono sottolineature che accompagnano il parallelo lungo tutto lo svolgimento della storia. Suggerimenti, mai didascalie. Le proiezioni sono usate come complemento narrativo e scenografico ad aiutare lo svolgimento musicale, con attenzione a non far sì che diventino elemento protagonista o di disturbo. o stesso si può dire per le bellissime scene e le luci appropriatissime.

C’è un qualcosa di ronconiano in tutto questo, e come in Ronconi, meglio che in Ronconi, qui tutto concorre a un’unità scenica al servizio della musica. Ne sono un esempio il treno del primo atto (in scala 1:1) con le proiezioni sul fondo e i movimenti scenici che ci danno l’impressione del convoglio in movimento, le imponenti scale che scendono e si impongono, il pugno contro il muro che, all’unisono con la musica e con sorprendente videomapping, fa crollare la parete. E poi c’è l’uso della partitura come se fosse un’indicazione da libretto dei movimenti scenici, un topos del regista che trasporta l’azione scenica a un passo dal mondo della danza.

Una compagine di bravissimi ballerini/mimi, insieme ai cantanti o come doppi dei cantanti, rendono concreto il dipanarsi delle note in una sorta di sinfonia visiva. L’immagine dei soldati che trascinano la slitta con i loro fardelli e che improvvisamente prende vita. Le corse all’indietro che ora servono a descrivere il movimento del treno, ora a simulare un effetto rewind. Lo stupro del doppio di Asteria alle spalle della cantante nella sua sublime aria del terzo atto e che ci racconta l’universo interiore del personaggio.

Ogni volta che la noia sembra poter bussare alla porta c’è un guizzo, un gesto, un’idea che rimette in circolo l’adrenalina e ci accompagna alla prossima meraviglia musicale. Questo Tamerlano sarà ricordato a lungo, per la sua complessiva coerenza musicale e scenica e soprattutto per il debutto scaligero di Livermore che ritornerà presto per il Don Pasquale.