tosca

Tosca trionfa alla Scala.

Uno spettacolo che entrerà negli annali per più motivi. Uno spettacolo completo ed entusiasmante che ha fatto venire giù il teatro. È questo in sintesi il risultato dell’ultima apertura di stagione firmata Pereira. Così doveva essere e così è stato. Un cast stellare, una messa in scena spettacolare di un gruppo collaudato di grandissimi professionisti, un titolo popolare come Tosca, scelto per la prima volta a inaugurare. Ma soprattutto Chailly. E soprattutto Puccini.

Soprattutto Puccini, perché siamo convinti che il lucchese ritroso avrebbe molto apprezzato questa Tosca. Tutto è come lui aveva pensato, dalla musicalissima regia – rispettosa fin nelle virgole nelle raccomandazioni sceniche e con qualche invenzione che non gli sarebbe certo dispiaciuta – ai cantanti, alla direzione. Splendida, stupenda, immacolata. È Chailly il vero trionfatore della serata. Dei suoi Puccini, il più bello. Dei suoi “7 dicembre”, il più luminoso. Il Maestro ci ha regalato la prova più esaltante dal suo arrivo alla Scala.

Di tutte le Tosche viste in teatro, di tutte quelle ascoltate in registrazione – con l’eccezione forse del sancta sanctorum delle Tosche, la versione De Sabata – la migliore. A forza di esser ripetitivi, innanzitutto, onore al merito a Orchestra e Coro, che hanno suonato a livelli di perfezione assoluta. L’Orchestra è veramente strepitosa in ogni sezione e, in questa occasione, una nota particolare va riservata agli archi. Memorabili per duttilità, morbidezza, forza e compattezza.

La versione romana poco aggiunge all’opera a noi nota e i ritocchi, perché si tratta di rifiniture, furono da Puccini ben calibrati e opportuni. È interessante però poterli ascoltare, una chicca musicologica e quasi archeologica che ha senso scoprire. La visione di Chailly di Tosca è superba. Un meccanismo teatral-musicale perfetto, che ha solo bisogno di essere portato avanti con cura e attenzione. L’energia quando è richiesta, la dolcezza e lo smarrimento quando sono scritti. Il Maestro legge la partitura in profondità, facendo sbocciare le note, facendo sviluppare l’azione. Zero trucidità, zero sentimentalismo d’accatto. Musica, bellissima. È nella limpidezza dell’Orchestra, nello scatto dei tempi e, soprattutto, nel far fluire un tempo nell’altro, una melodia nell’altra che si manifesta la grandezza della sua lettura. Tutto è necessario. Ogni nota è fondamentale. Una lezione di direzione d’orchestra esemplare. Ogni studente del Conservatorio dovrebbe osservare lui e l’Orchestra dalla barcaccia.

Dei tantissimi momenti di estasi pura, vogliamo ricordare l’attacco del Te Deum, con quei violoncelli che nascono dal nulla come vapore che scende dal cielo o nasce dall’inferno e quell’oasi lirica dell’inizio del terzo atto. L’equilibrio con il palcoscenico è perfetto, con massima intesa con ogni cantante e cura di ogni parola.

E arriviamo ai protagonisti. Meli è un Cavaradossi da antologia. L’intelligenza musicale di questo cantante ci restituisce una performance che è fraseggio puro. La voce non immensa viene usata in tutte le sue sfumature e finalmente sentiamo un Mario che vive di mezze voci più che di tenorili strilli. Luca Salsi ha una delle voci baritonali più belle oggi in circolazione. Sontuoso, uno Scarpia virile mai, però, sopra le righe. Tosca era, nella recita immediatamente prima di Natale, un Saioa Hernandez vocalmente strepitosa. Dotata di uno strumento infallibile, la cantante spagnola ha una tecnica ineccepibile in ogni registro e in ogni tessitura. È una Floria Tosca molto tradizionale e dalla passionalità contenuta negli accenti come nella presenza scenica. La sua dizione è impeccabile, sillaba per sillaba. La qualità dello spettacolo è data infine dalla levatura di qualsiasi voce in scena, con un Antoniozzi che ci regala il miglior sacrestano mai ascoltato.

La messa in scena è studiata per mettere in mostra come non mai le potenzialità della macchina scenica scaligera. Una regia tradizionale e attenta a qualsiasi dettaglio. Sfarzosa e piena di soluzioni di grande effetto. Rispetto ad altri lavori di Livermore, questo è forse il meno interessante. Tosca è scritta da Puccini in ogni dettaglio e l’inaugurazione della stagione un momento delicato e forse è giusto che sia così. La magia del Tamerlano mi è, però, mancata. Uno spettacolo che farà storia.

foto credit Brescia/Amisano