Tosca

Ho sempre pensato che la folle journée di Tosca accadesse a inizio estate. E una sera d’estate, in una Scala con programmazione a piena velocità, abbiamo assistito a una Tosca di buona fattura. Corretta e un po’ polverosa.

La strana estate del 2015, complice l’Expo, ha di fatto introdotto a La Scala il concetto di teatro di repertorio alla tedesca. In pochi mesi, accanto all’importantissimo cartellone, si è affiancata una stagione parallela che comprende tutti i titoli più famosi del teatro d’Opera con cast autorevoli e produzioni già viste. In questo solco bisogna leggere questa Tosca. Un’occasione importante per molte persone, magari dai gusti meno difficili, per avvicinarsi alla lirica e per provare emozioni.

Il pubblico della Scala non è solo un pubblico esigente. È un pubblico dopato e non particolarmente elastico. Se da un lato sarebbe triste e impensabile un abbassamento della qualità del massimo teatro mondiale, dall’altro sarebbe stupido non aprirsi a questo tipo di programmazione e accoglierla favorevolmente: come ormai accade in tutti i teatri del Mondo, garantendo facile accesso al pubblico e profitto al teatro.

In questo caso, abbiamo avuto un trio di voci efficiente ma talvolta squilibrato e non troppo attento alle raffinatezze, una regia funzionale con un paio di idee efficaci ma che in questa ripresa ha lasciato i cantanti troppo liberi di attingere al proprio repertorio gestuale e soprattutto un direttore svogliato e più attento ai singoli momenti musicali che al racconto della più perfetta macchina musical-teatrale del Puccini.

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