Tristano e Isotta 269

Che il Tristano sia un’opera meravigliosa, pazzesca, rivoluzionaria è presto detto.

Allo stesso tempo è difficile, impegnativa: difficile per i cantanti, per i musicisti, difficile per il direttore e difficile per regista e scenografo, che si trovano a dover portare in scena un dramma interiore, in cui l’azione è praticamente inesistente.

Riuscita è l’operazione al Regio di Torino. L’impianto musicale regge per tutta la durata dello spettacolo, grazie all’evidente lavoro e studio approfondito del direttore musicale Gianandrea Noseda con l’orchestra. Curate sono le sfumature, curati i bilanciamenti, curata tanto la visione d’insieme quanto quella più cameristica del dramma. In certi momenti, certo, sarebbe bello sentire gli archi un po’ più tesi, vibranti, il suono un po’ più corposo, le atmosfere un po’ più “tenute”, ma questo non inficia la buona prova del direttore e la sua orchestra.

Bravissima l’Isotta del secondo cast, Rachel Nicholls: decisa, consapevole, brava sia nelle invettive, nei declamati, sia nelle parti più dolci e liriche e con gran presenza scenica. Il Liebestod finale è da brivido. Convince meno Stefan Vinke, Tristano con grande tecnica vocale ma purtroppo voce forse non troppo adatta al ruolo. È affaticato, tirato e nei duetti soccombe accanto alla Nicholls. Si riscatta nell’ultimo atto, nella lunga prima scena con Kurvenal, ove senza strafare è però preciso e pulito. Bravi anche Steven Humes nel ruolo di Re Marke e Martin Gantner in quello di Kurvenal. Più debole, invece, la Bragane di Michelle Breedt.

Dopo aver girato diversi teatri e visto diversi allestimenti, è stato lo spettacolo di Klaus Guth a convincere il direttore artistico Gaston Fournier il quale, non essendovi la possibilità di approntare un nuovo allestimento, si è mosso per trovarne uno che ancora non fosse giunto in Italia.

Klaus Guth sposta la realtà dell’antica leggenda nel mondo ottocentesco di Wagner, Otto e Mathilde Wesendonck. Spiazza un poco trovarsi in una sorta di appartamento Ottocentesco nel primo atto, quando ci si aspetta navi e mare, ma in realtà l’idea del regista funziona, con uno spettacolo tutto – o quasi – ambientato in spazi interni che rimandano alla realtà psicologica e interiore del dramma. Bellissima l’idea, nel secondo atto, di far incontrare Tristano e Isotta in mezzo ai salotti Ottocenteschi, pieni di persone che sembrano non vederli, non accorgersi di loro e addirittura si bloccano, fermando il tempo reale per lasciare che quello dell’amore tra i due prenda il sopravvento.

Foto © Ramella & Giannese