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Convince tutto, o quasi, della serata di domenica 10 luglio, con il Quartetto di Cremona al Varignana Music Festival.

Convince il posto, l’idea, il Quartetto di Cremona è una garanzia e il programma intimo e raccolto è sicuramente adatto al contesto: Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce di Joseph Haydn.

Varignana Music Festival è un progetto nato tre anni fa che propone una settimana di concerti presso il Palazzo di Varignana, luogo interamente ristrutturato immerso nel verde delle colline bolognesi. Un buon modo per farsi conoscere e attirare un pubblico di appassionati di Bologna, Imola e non solo; una bella alternativa al caldo cittadino; un’ottima trovata per far scoprire una realtà locale paesaggisticamente suggestiva, con colline dorate alla sera, casali circondati dal verde e ottime taverne tipiche.

In questa edizione il Quartetto di Cremona si può dire quasi in residenza al Festival, con tre appuntamenti su nove, in una sorta di ritratto che li vede al fianco di altrettanti solisti a cominciare dall’inaugurazione, l’8 luglio, in cui il gruppo ha “duettato” con il celebre violoncellista brasiliano Antonio Meneses. Il 12 luglio è stata la volta del Quartetto con il pianista Alexander Romanovsky, testimonial fin dalla prima edizione, mentre il 10 Cristiano Gualco, Paolo Andreoli, Simone Gramaglia e Giovanni Scaglione sono stati affiancati da Philippe Daverio in veste di narratore: Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce, infatti, si articolano in sette sonate in tempo lento che meditano sulle ultime frasi di Cristo in croce, pronunciate all’inizio di ogni sonata per far concentrare gli esecutori sul contenuto di quanto suonano. Queste sono precedute da una maestosa introduzione e concluse con un Presto che descrive il terremoto che sconvolse il Calvario, come racconta il Vangelo di Matteo.

Incredibile la capacità del Quartetto di intesa, di dare gli attacchi, di assecondarsi. Dolcissimi nei tempi lenti, melodiosi anche quando il tema principale è affidato agli archi pizzicati, come nella Sonata della sete, il V movimento, morbidi nel suono. I quattro riescono veramente nell’intento di far parlare gli strumenti, a rendere i toni di supplica, speranza, austerità, drammaticità; in particolare i due violini nella VII sonata riescono a trasmettere l’esitante respiro di chi attende la fine. E poi, nel Terremoto finale, l’esplosione della tormenta, con dissonanze, tremoli, trilli veloci è resa in maniera magistrale con un risultato dall’effetto terrificante.

Si è detto all’inizio che della serata convince tutto, o quasi: forse l’unico vero elemento di dissonanza in un clima così condiviso è stato l’intervento dell’ospite più atteso, Philippe Daverio. Dopo un’introduzione alla serata sicuramente interessante, con un approfondimento sul classicismo e il romanticismo in musica, lo storico dell’arte, che aveva il compito di leggere all’inizio di ogni sonata le parole di Cristo, si è spesso lasciato andare all’ironia tipica che lo contraddistingue, fuori luogo, però, in questo contesto.