barbiere

Una sala piena con agosto alle porte, mentre Milano si svuota – Expo o non Expo –, è un lusso che solo Rossini può regalare alla Scala, a quasi duecento anni da quel debutto sfortunato del Barbiere di Siviglia: evidentemente dalla seconda sera il pubblico ha ascoltato meglio.

L’Accademia della Scala ha fornito coro, orchestra e solisti – eccetto due nomi: Leo Nucci per Figaro, Ruggero Raimondi per Basilio. Un’operazione sempre apprezzata dal pubblico, che ogni anno può assistere a titoli del grande repertorio belcantistico in produzioni della Scala a prezzi ridotti, con i migliori talenti di una delle più importanti scuole italiane. L’allestimento è quello mitico di Ponelle, andato in scena alla Scala con la direzione di Claudio Abbado nel ’69, finalmente con l’edizione critica, in un’esecuzione alleggerita dalle datate prassi di tradizione.

La scena ruotante di Ponnelle, sempre splendida da vedere, oggi fa sorridere per la pesantezza dei passaggi. Così come sono superati certi dettagli di regia: portantine, bambini e cappellani che animano Siviglia, il temporale col fuggi fuggi in cerca di un riparo e il vecchietto esasperato che rovescia il vaso da notte sul coro rumoroso sono parte di un retaggio bozzettistico ormai scomparso. Ma alcune trovate di Ponnelle hanno la stessa grazia di cinquant’anni fa, come l’immobilità del concertato di stupore a canone, o la follia della stretta del Finale I, con soldati e borghesi che si inclinano a destra e sinistra.

Molto graziose Rosina e Berta, rispettivamente Lilly Jorstad e Fatma Said: la prima con un piglio vivace e discreta tenuta, la seconda quasi sacrificata nel ruolo di vecchia servetta, vista la bella presenza scenica. Inadeguato al momento Edoardo Milletti, che non risolve il personaggio del Conte né per tecnica né per recitazione. Simpatico Giovanni Romeo, con ancora qualche difficoltà nella tremenda sillabazione di Signorina un’altra volta. Difficoltà che del resto non risparmiano nemmeno un gigante come Ruggero Raimondi, un po’ affaticato, ma con figura di strepitosa autorevolezza, specie quando ne viene proiettata l’ombra demoniaca durante La calunnia. Nucci sembra fare Figaro con il pilota automatico, ma con un istinto che difficilmente si potrebbe trovare in altri. Va confermata la dichiarazione orgogliosa sulla sua agilità nella discesa dalla sbarra da pompiere durante Largo al factotum.

Il direttore Zanetti, già ascoltato a giugno in Carmen, tiene poco a freno timpani e grancassa, sia nella sinfonia sia nel concertato del primo atto, e non sembra sforzarsi troppo per ricercare colori nella buona orchestra dell’Accademia: forse la Siviglia che ha in mente è più vicina a Bizet che a Rossini.

Tutto il cast qui.